Arrampicare senza paura è veramente possibile? In verità essere completamente liberi dalla paura è quasi impossibile, non solamente in arrampicata, ma anche nella vita in generale. Un’emozione, quella della paura, che paradossalmente ci tutela e ci fa sopravvivere. Anche e soprattutto quando stiamo scalando, sia in falesia che in montagna. E’ proprio per questo motivo che insisto moltissimo nei miei percorsi di terapia sull’importanza di gestire la paura e le sue manifestazioni. L’ansia, la risposta fisiologica alla paura, sembra impossibile da contenere, e proprio per tale motivo va ascoltata, canalizzata, accolta e gestita. L’articolo di oggi racconta il caso di successo di una giovane atleta di arrampicata, che riesce a superare i propri limiti e tornare ad arrampicare ad altissimi livelli dopo un infortunio.
In altri articoli dedicati a questo tema ho già trattato il ruolo del pensiero in arrampicata. Nello specifico vi rimando ad un interessante articolo per approfondire l’argomento:
Nella storia che sto per raccontarvi, il pensiero ha un ruolo cruciale. La giovane atleta che chiameremo F. (nome di fantasia), in seguito ad una caduta da parete artificiale con conseguente infortunio, inizia ad avere pensieri ossessivi rispetto alla paura di cadere. L’idea che possa nuovamente accadere un episodio analogo la mette in una grande difficoltà psicologica. Mentalmente si sente a terra, il pensiero torna sempre alla possibilità di cadere, e questo la spaventa molto.
I pensieri vengono descritti da F. come un vortice, lei si accorge di essere più fissata sul pensiero ricorrente, che non concentrata sull’arrampicata. E’ come se i suoi occhi fossero rivolti versi l’interno di se stessa e non all’esterno, sulle prese o sul risolvere i blocchi. In questo modo il labirinto che si crea nella mente diventa ingestibile, innescando la sensazione di paura di non avere il controllo, di cadere, di volare e farsi male. Intuisce inconsciamente che potrebbe addirittura smettere di arrampicare, una attività che per lei è più di uno sport, è una grandissima passione.
L’immagine ideale per gestire al meglio il pensiero ossessivo è metaforicamente quella di “chiudere il cassetto”. Come se noi, chiudendo il cassetto, facessimo pulizia e mettessimo ordine nelle nostre idee. Una sorta di sistemazione dei pensieri all’interno del cassetto virtuale e non fuori, nella nostra mente attiva. Nel caso di F. ovviamente non era così semplice chiudere le proprie ossessioni dentro un cassetto, ridimensionando la loro influenza e il loro potere. Abbiamo anche lavorato per trasformare i pensieri in concentrazione. Se l’immagine che si affacciava alla mente era quella della caduta, abbiamo cercato di trasformarla in un pensiero positivo, di successo. La strategia che abbiamo impiegato è stata quella di trasformare il “film” negativo che la mente proiettava, in una serie di “fotogrammi” efficaci e vincenti, una tecnica immaginativa molto concreta e potente.
In pochi appuntamenti, ridimensionando i pensieri disfunzionali, F. è tornata con convinzione e con successo ad arrampicare. Aggiungerei anche con risultati ottimali e con una maggiore consapevolezza mentale, che è riuscita a portare in parete. La forza della mente può veramente aiutare un atleta a migliorare le proprie performance, creando un mindset di successo. Oggi F. è uscita dal tunnel dell’ossessione; è tornata a scalare con maggiore tranquillità e soprattutto senza quella paura di cadere che in seguito all’infortunio l’aveva attanagliata.
Seguo ormai da anni atleti e arrampicatori non professionisti, riuscire a scalare senza ansia rende questo sport qualcosa di unico.
Categorie: coaching strategico, Psicologia dello Sport
Tag: arrampicata, paura
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