Come funziona la terapia breve strategica?
Mi capita in molte occasioni di rispondere a questa domanda, durante i corsi di formazione, ad alcuni colleghi, agli amici e in alcune situazioni anche ai pazienti.
Di solito ho come l’impressione di non essere realmente efficace nel rendere l’idea di come funziona questo modello di psicoterapia. Per questo motivo vorrei raccontarvela, e vorrei farlo attraverso l’uso di un esempio pratico.
Immaginatevi di non riuscire più ad uscire di casa a causa dell’ansia, che vi blocca, e che genera in voi la paura di un attacco di panico: la sola idea di essere al supermercato e percepire una sensazione di perdita di controllo, vi mette in allarme. Continuando ad evitare di uscire da casa la vostra paura aumenta sempre di più, e non vi lascia scampo.
Questo incide nella qualità della vostra vita e vi porta a rimanere intrappolati nel vostro stesso problema.
La terapia breve strategica vi aiuta, in poche sedute d’intervento, a ridurre la vostra ansia, riportandola ad un livello di “normalità”, ovvero ad un livello in cui l’ansia che ognuno di noi prova svolge la mera funzione di allerta positiva.
Proseguendo con il percorso terapeutico si lavora in modo tale da modificare la “percezione della realtà”, rendere, ad esempio, il supermercato un luogo non minaccioso dove poter cadere in un attacco di panico, bensì il luogo dove poter fare la spesa con totale serenità.
Nella pratica, si lavora in modo tale che la persona possa riappropriarsi della propria vita, rimasta bloccata in un circolo vizioso, che nel nostro esempio è ben esemplificato dalla paura patologica.
Tornando ad una definizione più teorica della psicoterapia breve strategica (TBS), potremmo definirla come un approccio di soluzione dei problemi psicologici, un intervento breve, con un numero contenuto di sedute, che agisce su due livelli:
• elimina i comportamenti che la persona ritiene disfunzionali;
• produce un cambiamento nelle modo in cui la persona percepisce e costruisce la propria realtà.
L’approccio deriva dagli studi del gruppo di Palo Alto, poi messo a punto da Paul Watzlawick e Giorgio Nardone, presso il Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo.
L’intervento, pur essendo breve, è comunque radicale e duraturo, nel senso che non solo si agisce positivamente sui sintomi andando ad estinguerli, ma la persona ne trae giovamento anche nel tempo.
Nell’esempio sopra citato, la persona riuscirà ad uscire di casa e recarsi al supermercato per molto tempo e non solo nei primi mesi di terapia.
Il terapeuta strategico lavora contemporaneamente sulle seguenti aree:
• la funzionalità o disfunzionalità del comportamento;
• il vissuto emotivo della persona;
• il suo modo di interagire e di costruire la propria realtà, ossia cognizioni e percezioni.
Cerchiamo di superare ogni difficoltà che ci troviamo ad affrontare utilizzando la strategia più consona, che abbiamo sperimentato in passato aver funzionato. Spesso però tale strategia non funziona come ci saremmo aspettati.
Lo sforzo ripetuto nel cercare di mettere in pratica una strategia che non funziona, ad esempio evitare il supermercato, per risolvere un problema, alimenta il problema stesso: continuare a non andare al supermercato per la paura di perdere il controllo alimenta tale circolo vizioso.
L’intervento strategico si focalizza fin dall’inizio sul rompere il circolo vizioso che si è stabilito fra tentate soluzioni e persistenza del problema, lavorando sul presente piuttosto che sul passato, su come funziona il problema piuttosto che sul perché esiste, sulla ricerca delle soluzioni piuttosto che delle cause.
Lo scopo di un intervento breve strategico è favorire uno spostamento del punto di vista del soggetto dalla sua posizione originaria rigida e disfunzionale, verso una prospettiva più elastica e funzionale, con un numero maggiore di possibilità di scelta.
Categorie: Ansia e panico, Dipendenze, Disturbi Alimentari, Genitorialità, Gestione delle emozioni
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