Come sono legate psicologia e nutrizione? Ci sono degli elementi che uniscono le dinamiche alimentari con il cibo ed il nostro modo di assumerlo? La risposta è affermativa. Il rapporto con il cibo ha un legame molto stretto con il nostro modo di essere. Ad ognuno di noi capita di associare i nostri stati emotivi ai vari modi differenti di approcciarsi all’alimentazione. Basti anche solo pensare alle trasgressioni alimentari, oppure ai periodi di dieta detossificante. Nell’articolo di oggi prenderemo in mano il tema legato al rapporto tra la psicologia e le abitudini alimentari.
Dal punto di vista mentale cambiare le abitudini alimentari è un percorso complesso. Diciamo che in linea di massima modificare le abitudini personali è un’operazione sempre difficile, in qualsiasi momento e per qualsiasi aspetto della nostra vita. Il fatto è che ci piace coltivare la zona di comfort personale, avere le cose sotto controllo, non dover investire energie per affrontare rischi indesiderati. Anche nella sfera alimentare abbiamo dei copioni mentali che ci indirizzano, ci limitano e contemporaneamente arrivano a condizionarci. Per esempio, se siamo in dieta la rispettiamo pedissequamente. Quando invece non lo siamo rischiamo di trasgredire la routine abituale, lasciandoci andare a degli eccessi. Il suggerimento che mi piacerebbe trasmettervi è di iniziare a cambiare. Ricercare nuovi cibi, trovare piacere nei cambiamenti alimentari, sperimentando modalità diverse che riescano a farci sentire motivati pur mantenendo un sano equilibrio alimentare.
Quello che normalmente influenza la nostra esperienza alimentare sono due aspetti principali. Da una parte gli aspetti cognitivi, e quindi le modalità con le quali suddividiamo e “clusterizziamo” il cibo. Ovvero come lo immagiamo raggruppandolo per insiemi omogenei, ad esempio cibo per vegani, per bambini o per vegetariani. Il secondo criterio è legato agli aspetti motivazionali, ovvero al motivo che ci spinge a scegliere un cibo invece di un altro. E quindi in questo caso diventa fondamentale la molla psicologica, cioè se siamo spinti da motivi salutistici, valoriali oppure ancora culturali. Credo che soffermarsi sull’importanza dei valori sia veramente necessario. Perché se il cibo rispecchia il nostro modo di essere, allora può anche diventare una risorsa funzionale a nostro vantaggio. In questo senso, basare un percorso di terapia sul proprio valore alimentare può essere la chiave per la riuscita del percorso stesso.
Torniamo ad utilizzare questa parola “comfort”, in associazione con “food”, per chiarire meglio il ruolo del cibo nel caso di “fame emotiva”. Da sempre l’uomo esprime le proprie emozioni anche attraverso l’alimentazione. Basti pensare alle occasioni conviviali, ai matrimoni, alle cerimonie in genere, ai momenti di festeggiamento singolare o collettivo (es. le sagre estive). Mangiare insieme è universalmente inteso come un momento di ritrovo, l’occasione per chiacchierare, discutere e anche confrontarsi sui temi più vari, come ad es. la politica e lo sport. L’espressione “comfort food”, invece, assume una nota disfunzionale quando è inteso nel senso di alimentarsi per superare un momento di tristezza, di dispiacere, oppure di rabbia. Utilizzo allora il cibo per cercare di superare un momento di difficoltà. Magari anche abusandone, e trovando nell’eccesso una effimera sensazione di pace. Ovviamente quello che accade in seguito è di sentirsi in colpa e soffrire emozioni ancora più negative.
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più sulla fame emotiva leggi il mio articolo: FAME EMOTIVA: COME COMBATTERLA E TROVARE NUOVE MOTIVAZIONI
Categorie: Disturbi Alimentari
Tag: abitudini, comford food, dieta, nutrizione
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