La fame nervosa, in questo particolare momento di segregazione da quarantena che stiamo vivendo, può essere immaginata come una delle soluzioni per cercare di superare il flusso emotivo che stiamo attraversando. La fame nervosa diventa un impulso a mangiare che ci permette di percepire in maniera diversa le nostre emozioni, rendendole più tollerabili e meno intense. Abbiamo visto come sui social media sia esplosa la passione degli italiani per il cibo. Si sono diffuse ricette, fotografie di pani e pizze fatte in casa e dolci di ogni tipo. L’articolo di oggi è una riflessione su tutte quelle situazioni individuali in cui il cibo viene vissuto come un problema. L’aggravante di dover rimanere a casa peggiora la situazione rendendola “asfissiante” e di difficile risoluzione.
Un paziente mi ha chiamato e ha spiegato di non avere fame. Non riesce più a mangiare con regolarità, avverte lo stress del momento in una maniera particolarmente intensa. Sta ancora lavorando con una certa regolarità, dato il suo ruolo di infermiere, e la quotidianità lo rende incapace di vivere i pochi momenti liberi con serenità. Arriva a casa stanco, ma non riesce realmente a riposarsi. Non prova alcun piacere né tantomeno interesse nel cibo. Riporta di aver perso alcuni chili, emotivamente si sente in balia degli eventi. L‘inappetenza lo rende instancabile ma lo sta affaticando e non gli permette di essere equilibrato ed emotivamente stabile come di solito.
Anche una giovane ragazza che sto seguendo nel percorso di psicoterapia per problematiche di anoressia, riferisce un peggioramento della sua condizione. Il cibo in questo momento è nuovamente visto quasi come un “nemico”. La situazione destrutturante e destabilizzante che sta vivendo, l’impossibilità di poter uscire di casa, sono già motivi che la preoccupano, vive nella costante paura di perdere il controllo. L’astenersi dal mangiare le permette di mantenere almeno apparentemente il controllo della situazione. Anche se in realtà il problema è proprio il fatto di non mangiare e non concedersi il piacere che peggiora la situazione. Se paradossalmente le sembra di poter controllare le proprie emozioni, in realtà è ancora più esposta alla paura di perdere il controllo in quarantena.
In queste due situazioni – benchè diverse – il consiglio fornito è stato quello di provare comunque a concedersi il piacere in almeno uno dei tre pasti, e di renderlo un momento piacevole cercando di mangiare solo le pietanze più sfiziose e desiderate. Infatti, solo concedendosi il piacere di una trasgressione alimentare è possibile veramente ritrovare quelle emozioni piacevoli che ci aiutano a non perdere il controllo.
“Dottore non riesco a smettere di mangiare, mi abbuffo fino a sentirmi piena. Poi mi sento in colpa e non so come rimediare. Forse è una fame nervosa!”.
Questa testimonianza ci fa capire come anche nel caso di situazioni di consumo esagerato, il cibo riveste un ruolo essenziale nella regolazione delle emozioni. La quarantena ha portato molte persone a cucinare molto più cibo del necessario. Essere sempre a casa e non potersi muovere, porta a vivere questa situazione claustrofobica come una “via crucis” infinita. Preparare ricette e piatti originali diventa un momento di svago che può risolversi in un vero e proprio inferno per chi nel cibo trova un’ingannevole pace emotiva. Come nel caso della testimonianza della paziente: il primo momento di “sazietà” dato dall’abbuffata fornisce una sensazione di calma apparente, poi in seguito la presa di consapevolezza della trasgressione genera nella persona un senso di colpa, con vissuti di sofferenza e rabbia. Anche in questo caso la cosa migliore è quella di riappacificarsi con il piacere. Preparando ricette che ci piacciono, ma soprattutto limitando assolutamente e solo ai tre pasti il momento in cui concedersi il piacere di mangiare.
Non possiamo non considerare anche le dinamiche famigliari connesse con le problematiche di disturbi del comportamento alimentare. Una madre in difficoltà mi ha chiamato: la figlia sedicenne alcuni mesi fa aveva iniziato a ridurre sensibilmente l’alimentazione e oggi, in una situazione totalmente diversa, ha ripreso a mangiare con regolarità e piacere. La mamma è felice di questa situazione, tuttavia non riesce a fare a meno di chiederle costantemente come mai avesse iniziato a non mangiare più. La figlia è stufa e non se la sente di spiegare cosa sia successo, si sente bene e non ha intenzione di ricordare i momenti negativi. Ho consigliato alla madre una “congiura del silenzio”, cioè smettere completamente di parlarne, perché la cosa fondamentale oggi è sorvolare su quanto accaduto nei mesi precedenti. Il che non vuol dire che di fronte a difficoltà o problematiche nel “qui ed ora” della figlia non si debba intervenire, ma è importante adesso confinare il passato recente nel passato tout court.
Un ragazzo universitario rientrato in famiglia è seccato perchè entrambi i genitori invece di aiutarlo lo stressano continuamente, costringendolo a mettersi a tavola e mangiare con loro. Un comportamento così iperprotettivo da parte della famiglia in questo caso viene avvertito come fastidioso, al limite del “deleterio”. Il ragazzo sente di aver bisogno di maggiori spazi, di tranquillità; in questa fase deve potersi approcciare al cibo in maniera autonoma. In realtà la voglia di mangiare non manca, solo che lui vorrebbe poter continuare con le stesse dinamiche alimentari costruite durante il periodo universitario, quando viveva da solo. La famiglia crede che il figlio abbia un problema e lo mette eccessivamente sotto pressione, invece sarebbe importante in questa situazione potergli lasciare i suoi spazi. E’ azzeccato in questa situazione l’aforisma:
“la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”
Oscar Wilde
pensando infatti di fargli del bene, purtroppo i genitori ottengono l’effetto contrario.
Un’altra situazione che si è venuta a creare dall’inizio della quarantena è stato l’aumento del consumo di alcol sulle nostre tavole. Come già detto, sta emergendo in questo periodo la tendenza da parte di molte persone a mangiare e bere senza freni. Per quanto riguarda il consumo di alcolici, dividerei questa tendenza in due macro-categorie: il modello anglosassone e quello mediterraneo. Nel primo caso il consumo di alcol di solito è giornaliero: un bicchiere di vino ai pasti e una birra o altro come aperitivo prima di cena. Un consumo non eccessivo ma comunque regolare, che facilità uno stato emotivo di minore tensione. Il modello “inglese” invece è caratterizzato da un significativo consumo di alcolici, birra compresa, soprattutto (ma non solo) nel fine settimana, con picchi di consumo in breve tempo (il tempo del pub). Questa modalità è chiaramente più distruttiva ed è finalizzata a smorzare e cancellare almeno temporaneamente ogni emozione di disagio e difficoltà. Il cibo viene spesso associato a queste abbuffate alcoliche, rendendo il quadro ancora più complesso e difficile.
Categorie: Disturbi Alimentari, Gestione delle emozioni
Tag: abbuffata, anoressia, bulimia, disturbi del comportamento alimentare, vomiting
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