L’Arousal e l’attivazione psicofisica in arrampicata è il tema che ho trattato questa settimana durante l’intervista con Oliunid Italia, sito e-commerce specializzato in attrezzatura da arrampicata. Di seguito l’intervista integrale.
Molti arrampicatori hanno indubbiamente sentito parlare per la prima volta di Arousal leggendo il libro sull’allenamento per eccellenza Jollypower, scoprendo di aver già provato sulla propria pelle molte delle situazioni descritte. In infiniti mix diversi dei livelli di attivazione psicofisica e attenzione, possiamo trovare altrettante opzioni sulle modalità di affrontare una via: dandoci per vinti alla prima difficoltà, esprimendo al massimo la nostra voglia di arrampicare o facendoci prendere da un’eccessiva ansia. Ma ce lo facciamo spiegare meglio dal Dott. Guido D’Acuti, psicologo e psicoterapeuta specializzato in ansia e paura e falesista con altrettanta esperienza sulla roccia!
Buongiorno a voi e come sempre grazie per ospitarmi in questo “salotto virtuale”. Il termine Arousal sta ad indicare uno stato di maggiore attivazione neurovegetativa dell’organismo. Da un punto di vista più strettamente psicologico l’arousal attiva e orienta le nostre capacità di attenzione, memoria, presa di decisione, reazione, di fronte ad uno stimolo esterno. E’ l’espressione delle emozioni e del modo in cui reagiamo a livello comportamentale. Questo tipo di attivazione deve assolutamente essere gestita. Provo a spiegarmi meglio. Nel momento in cui ci troviamo ad affrontare un grado che si trova al limite delle nostre capacità, avremo sicuramente un’attivazione del nostro organismo. Questa energia in qualche caso può diventare disfunzionale e non favorire la giusta riuscita dei movimenti, della concentrazione, della presa di decisioni in seguito ad un rapido processo di problem solving. Se invece riusciamo a gestire il pensiero, indirizzarlo in maniera funzionale, vivendo l’attivazione fisica come una carica che ci aiuta ad essere ancora più concentrati, avremo anche maggiori probabilità di riuscita nella nostra performance.
Ti devo ringraziare per questa domanda. Siamo soliti pensare alla attivazione fisica e mentale come ad una forma di energia che possiamo spendere in arrampicata. Invece ci sono dei momenti della nostra attività sportiva in cui dobbiamo riconoscere che fermarsi è la soluzione vincente. La tentata soluzione disfunzionale dell’arrampicatore che deve allenarsi ogni giorno, andare in falesia il più spesso possibile per superare i suoi limiti, salvo poi dopo alcuni mesi sentirsi esaurito e senza voglia, credo sia molto conosciuta. Andare avanti per inerzia a volte può generare una sensazione di esaurimento, fisico ma soprattutto mentale. Prendere delle pause è fondamentale, aiuta a ricaricare il nostro corpo e a sedimentare movimenti ed energie. Quando vi sentite scarichi oppure percepite che la giornata in falesia non è realmente quello che volete fare, vi consiglio di fermarvi e dedicarvi a qualcosa di più rilassante.
Vi chiedo di provare a rispondere a questa domanda:
“Cosa farei di diverso da quello che sto facendo oggi, se fossi veramente carico e motivato? In che modo diverso mi comporterei, se dovessi affrontare la parete al top della mia forma, con massimo arousal e massima concentrazione? Da cosa capirei che sono pronto per il massimo della mia performance? Da cosa gli altri se ne accorgerebbero?”
Provate a porvi la domanda, scegliete la soluzione più piccola che vi viene in mente e provate a metterla in pratica. Questa domanda, chiamata anche “scenario oltre il problema”, è molto potente, e vi permetterà di superare il vostro impasse.
Personalmente ho un rapporto un po’ “particolare” con la rabbia. Credo sia un’emozione che mi contraddistingue. Ma non in senso negativo, bensì positivamente. La collera è una forza, un’energia, uno stimolo che mi spinge anche “oltre il limite”. Riuscire, in giornate di rabbia intensa, a superare gli ostacoli e riuscire ad essere vincenti è assolutamente possibile. Ovviamente dobbiamo essere in grado di riconoscerla, attraverso un processo di maggiore consapevolezza di noi stessi. Quindi dobbiamo essere in grado di accoglierla e di canalizzarla fuori da noi, ad esempio proprio attraverso l’arrampicata. Procedendo lungo la parete, nella salita, spengo il fuoco che ho dentro, disinnesco il vulcano. Il senso di pace che si vive successivamente diventa liberatorio.
Mi piace sempre parlare di gestione, più che di controllo. Potrebbero sembrare termini simili, tuttavia i significati sono alquanto differenti. Come già accennato in altre interviste, la ricerca di controllo potrebbe paradossalmente farci perdere il controllo. La gestione di uno stato emotivo, invece, può trasformarsi in qualcosa di funzionale ed utile alla performance. Il concetto chiave, dal mio punto di vista, è quello di limite. E’ quando ci troviamo a cercare di superare il nostro limite, che inizia la sfida della gestione delle nostre emozioni e dell’attivazione psico-fisica.
Superare il limite per andare “oltre noi stessi” è la sfida costante che viviamo in arrampicata, così come nella vita. Una via per me molto semplice è invece alquanto complicata per il mio amico che ha iniziato ad arrampicare da poco. La sfida che viviamo dentro fra ricerca di controllo e perdita di controllo del nostro corpo e della nostra mente, deve essere affrontata ad ogni livello, solo in questo modo risulta possibile superare il nostro limite e raggiungere un’ottima performance.
Categorie: Psicologia dello Sport
Tag: arousal, arrampicata, attivazione psicofisica, performance, sport
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